mercoledì 23 dicembre 2015

La natività, è un cambiamento.

Le persone e i sistemi umani sono in continua evoluzione, il cambiamento è di per sé inevitabile, esso volendo  può essere favorito, visto, orientato e agito consapevolmente .
Lavorare sul proprio sviluppo significa guardare avanti, prendersi cura di sé, delle proprie capacita', dei propri desideri, sogni e progetti; significa pensare al futuro e in questo modo trasformare il nostro essere nel presente e il nostro agire nelle relazioni significative. L'evoluzione,il cambiamento, la crescita è un nascere e rinascere , la vita è una ma contiene in sé innumerevoli natività. Buon Natale di cuore, sperando che tu possa trascorrere queste feste serenamente ma soprattutto che tu possa vivere  serena-mente in  armonia accogliendo senza timori la natività che il  cambiamento ti dona . 
BUON NATALE  BUON ANNO 
BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
operatore shiatsu, massaggiatore olistico, operatore Wassage.

conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
TEL.  :  338-8809519 
professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013.
 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013" 

giovedì 19 novembre 2015

Paura del futuro ?

Paura del futuro ?

Il  futuro ci spaventa  !  Certo soprattutto in certi giorni, quando le notizie che arrivano dai giornali e la tv non sono per niente rassicuranti , siamo segnati da scenari che ci amareggiano e ci rendono insicuri.Già normalmente il futuro ci spaventa  perché esso non si conosce e ciò che non si conosce fa paura. Ecco perché  si ha paura di fare cambiamenti, in tal modo tutto resta immutato e quindi conosciuto, insomma  si ha paura di lasciare la strada vecchia per quella nuova, si ha paura di prendere decisioni e di perdere le sicurezze duramente acquisite nel passato. 

Dobbiamo comunque  ammettere che la paura ci serve    ci mette in condizione di salvaguardare la nostra incolumità prevenendo azioni, che potremmo compiere, pericolose per la nostra sopravvivenza. Se non avessimo paura di un animale feroce, rischieremmo facilmente di essere divorati; se non avessimo paura dell'altezza, ci metteremmo spesso in condizioni in cui sarebbe rischioso cadere e così via.  Insomma il futuro rappresenta un'incognita e per questo spaventa, solo che a differenza di altri pericoli è qualcosa di inevitabile perché viene incessantemente verso di noi senza mai fermarsi. Purtroppo o per fortuna la conoscenza si è ampliata a ritmi esponenziali e questo ha portato influenze enormi sul nostro stile di vita e sul modo in cui affrontiamo il nostro futuro. 

Cosicché    la sensazione è che il futuro  più che venire verso di noi sembra che venga conto di noi , si perché  il progresso culturale e le trasformazioni del pianeta sono così rapide da lasciare interdetti anche gli uomini più intraprendenti, per cui non finisci di imparare qualcosa che già risulta obsoleta.

Se pensate che fino a due secoli fa, se uno cresceva in una famiglia patriarcale, poteva tranquillamente essere istruito dal nonno, le conoscenze erano più o meno adeguate.Già 40 anni fa, per uno studente in procinto di  finire la scuola era scontato proiettarsi nel mondo lavorativo, non ci si poneva neppure il problema. Oggi invece c'è il fantasma di non trovare un posto di lavoro, l'istruzione non previene più la disoccupazione. Adesso avere due lauree sta diventando la base e ancora non basta per essere tranquilli.

Coloro che  hanno paura del futuro  si stanno ancora aggrappando ai precedenti modelli che richiedevano un atteggiamento passivo: titoli di studio, previdenza sociale, datori di lavoro, istituzioni, la Chiesa. Il nuovo 'mondo', quello che ci accingiamo a conoscere, si basa invece sull'indipendenza e atteggiamento proattivo/propositivo praticamente di uno che non ha paura di assumere un ruolo attivo, da protagonista che mette in campo le sue doti , il suo talento nella propria vita. 

Pertanto, più si è attivi e meno si ha paura del futuro?Più sarete 'attivi' e meno avrete paura di qualsiasi imprevisto, perché sarete padroni totali dei risultati della vostra vita.Insomma preoccuparsi del futuro, alla ricerca di risposte certe non fa altro che aumentare i dubbi oltre a farvi vivere lontani dal qui e ora, invece:

- Provate a bloccare le risposte a questo tipo di domande. In questo modo si evita di entrare in    quel labirinto di pensieri, dove, anche se l’intenzione iniziale è quella di trovare una via d’uscita, ogni risposta,  non fa altro che farvi addentrare nella parte più profonda del labirinto rischiando sempre più di rimanerci imprigionati.

-Trovate il vostro talento, Il segreto consiste nello scoprire in cosa riusciamo bene, quando stiamo nel nostro elemento  non ci accorgiamo nemmeno del tempo che passa, Quando non ci poniamo più la domanda: “che cosa ci guadagno? Ma invece ci chiediamo: “in cosa posso essere utile agli altri?” allora stiamo esprimendo il nostro scopo della vita, SIAMO NEL NOSTRO ELEMENTO , stiamo esperendo il nostro talento.

-Fidatevi del vostro istinto   sentire istintivamente in quale direzione orientare le proprie scelte è una fondamentale risorsa personale  che va rispettata e   potenziata . Paradossalmente l’istinto viene potenziato quando va a “sotto braccio” alla consapevolezza di sé e alla libertà di essere ciò che si è, si perché  per esempio se una persona per sentirsi accettata si adatta sino a rinnegare la propria autenticità, si contiene fino a non esprimere il proprio pensiero si allontanerà dal proprio istinto , fino a non riuscire ad udire la sua voce. Vivere una vita simulata e solo di apparenza ammutolisce e mortifica l’istinto.

BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
operatore shiatsu, massaggiatore olistico, operatore Wassage.

conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
TEL.  :  338-8809519 
professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013.
 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013" 


sabato 10 ottobre 2015

L'uomo che piantava gli alberi





Il protagonista del filmato “Elzéard Bouffier ha trasformato da solo una terra desolata, dove la vita è ritornata in tutte le sua forme. Egli ha atteso con ostinazione che la natura facesse il suo corso senza farsi scoraggiare dalle avversità. Si è adoperato CON FIDUCIA  per tentativi, commettendo errori. Eppure non si è mai arreso, nutrendo la speranza del cambiamento”.
il protagonista sapeva che tutti gli eventi hanno il loro tempo. C’è un momento per ogni cosa: un tempo affinché una ferita si cicatrizzi; un’attesa perché si attui un cambiamento. Basta saper attendere. Ma Saper attendere non significa aspettare passivamente, si attende  agendo  per tentativi ed errori e con immensa pazienza E FIDUCIA

La pazienza è un’attesa consapevole.
L’etimologia del termine pazienza rimanda al verbo latino “patior” che significa “sopportare” ma anche “subire”, da cui scaturisce l’idea della sofferenza che in essa è insita. Tuttavia, chi ha pazienza non si dispera ma permane, seppur non indifferente, nell’attesa dell’evolversi degli eventi, avendo maturato la consapevolezza che ogni cosa ha la sua ragion d’essere: “Ricevi con semplicità quello che ti accade”[1]

L’etimologia del termine fidùcia s. f. [dal lat. fiducia, der. di fidĕre «fidare, confidare»] (pl., raro, -cie). –  Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità

 “Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole”[2].

In ogni momento possono accadere eventi che ci procurano sofferenza. Possono essere i cambiamenti più o meno improvvisi oppure l’incapacità del cambiamento che inducono in noi sofferenza, tristezza e ansia.
 Noi soffriamo nel cambiamento perché perdiamo momentaneamente ogni riferimento a noi noto. Eppure è proprio questo smarrimento che ci consente di sviluppare le nostre potenzialità, la nostra capacità di ritrovare la strada.

Dobbiamo perderci per poterci ritrovare rinnovati.
 Non è un processo immediato: ci occorre del tempo per effettuarlo. In questo senso la pazienza offre spazio per la gestazione delle idee:  il nostro sé diventa fucina di soluzioni creative che producono un riadattamento alla nuova situazione. Valorizzare il processo che avviene nel tempo e in una direzione, investe di dignità qualunque esternazione di sofferenza.




[1] RASHI BEN ELIEZER
[2] JEAN GIONO, L’uomo che piantava gli alberi      


BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
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conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
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 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013" 

martedì 29 settembre 2015

Il corpo ? Il nostro saggio amico

Sono  migliaia gli attacchi che ogni giorno  deve far fronte il corpo: che sia per l’aria inquinata che respiriamo, per il cibo “morto” o spazzatura che mangiamo, per le emozioni nocive di cui (altrettanto) ci  cibiamo … .  Insomma, senza che ce ne rendiamo conto il nostro corpo lavora senza sosta supportato da una sua saggezza profonda.
Si proprio così avete letto  bene, una saggezza tutta sua. Il corpo è  dotato di un’intelligenza che spesso però viene sottovalutata o, peggio, non considerata. Eppure è proprio il nostro corpo che, facendo spesso i salti acrobatici, cerca in ogni istante un equilibrio, una compensazione, per far in modo che la vita continui. Senza queste compensazioni, saremmo tutti malati. Ma tutto e tutti in un eccesso lavorativo si stancano e possono crollare esausti sotto il peso del lavoro (compensazioni). Cosi invece di comprendere, siamo soliti eliminare il sintomo più che capirne la causa. Ma noi facciamo molto di più andiamo oltre fino a ribaltare il concetto di saggezza del corpo arrivando così a pensare che in realtà il “manovratore” ( ovvero quel qualcosa che coordina tutto ciò che accade nel nostro organismo ) sia pazzo e che per questo vada tenuto a bada, controllato, ricondotto sulla retta via con antinfiammatori,antibiotici, vitamine, integratori alimentari, interventi chirurgici, ecc… per evitare che la sua natura illogica e pazza ci porti verso l’autodistruzione. Non ritengo di essere un naturologo  fondamentalista estremista per cui nei casi acuti ben vengono questi protocolli di cura, voglio solo sottolineare che il concetto che il “manovratore sia pazzo” ormai pervade e sottende buona parte della medicina e della psicoterapia figlie del nostro secolo. Da qui la nozione che una dose di buon senso somministrata dall’esterno possa “rimettere in carreggiata” il nostro organismo (in campo medico) e il nostro inconscio ( in campo psicoterapico) .
Come avviene in ogni altro ecosistema, credo che sia verosimile pensare che anche l’organismo si regga su una forma intrinseca di autogestione, capace di coordinare tutti i suoi bisogni fisiologici e psicologici animata da una sana organizzazione che vuole solo il meglio. la gestione quindi non è pazza ma solo nascosta, come il sistema operativo di un computer capace di gestire una quantità di informazioni molto maggiori di quelle che vediamo sullo schermo e inconscia, come è necessario che sia per riuscire a gestire un enorme quantità di informazioni che le derivano dall’esperienza, dalle sensazioni, dalle percezioni e probabilmente anche da una serie di dimensioni a noi sconosciute. Con questi presupposti, il criterio con cui ci poniamo di fronte a qualsiasi problema fisico o psicologico non può che essere ribaltato. Perché a questo punto lo scopo non è più quello di sostituirci a tale gestione interna con la presunzione di saperne di più, ma quello di collaborare con essa fornendole le informazioni che possono esserle di aiuto per decidere al meglio.
Proprio per questo che oggi in vari campi molti studiosi forniscono una diversa valutazione di ciò che l’organismo produce spontaneamente, vedendo nel sintomo un tentativo dell’organismo di riorganizzarsi in maniera più sana.
In campo psichiatrico i deliri dei “malati” sono considerati privi di senso , allo stesso modo sono considerati i discorsi dei malati di Alzheimer. Un tempo, della stessa considerazione godevano  anche i sogni delle persone “normali”e i disegni dei bambini, ma oggi grazie a Freud alla psicoanalisi e a tutte le sue svariate diramazioni, sono ampiamente riconosciuti e utilizzati come strumenti di crescita personale, sia per i loro messaggi simbolici sia in quanto forme d’arte spontanea e si cominciano a prendere sul serio le allucinazioni dei malati di mente, come atti onirici in stato di veglia.
Per i  malati di Alzheimer esiste oggi la Validation Therapy che rivaluta la funzione e il senso di ciò che essi producono, dicono e fanno.
È lecito comprendere il sintomo ed interpretarlo come forma di compensazione che l’organismo mette in atto in risposta ad un’alterazione organica di origine fisica o psichica?
Dall’esperienza clinica di numerosi professionisti, è emerso che proprio le persone che sviluppano una malattia invalidante come la sclerosi multipla sono paradossalmente, quelle che in un periodo antecedente , si sono fatte a lungo carico degli altri (-compensazione-per compensazione in questo contesto intendo quel concetto paradossale in cui nell’organismo emerge una malattia generata dal conflitto inconscio tra i suoi agiti e i suoi reali bisogni). Così come andando ad esaminare la storia passata di persone affette da sindrome di affaticamento cronico, si risconta una vera e propria iperattività, una vita piena di impegni professionali o umani (compensazione). Osservando questi collegamenti appare verosimile che la malattia risponda ad un preciso disegno, o meglio, a un principio di autoregolazione (compensazione) che da un lato , a livello macroscopico va a compensare  la struttura psicologica dell’individuo e dall’altro a livello microscopico può riflettersi sulle reazioni biochimiche e organiche. Il tutto regolato da un  principio e cioè di non interrompere l’equilibrio. L’organismo umano, infatti, tende naturalmente al mantenimento di una condizione di stabilità (che la scienza chiama  << omeostasi >> , ma potrebbe essere definito meglio come   << omeodinamica >>  per chiarire il nesso tra il continuo lavoro di adattamento  e la stabilità che tale lavoro serve a mantenere). È grazie a questo meccanismo che abbiamo 37 gradi di temperatura sia in estate sia in inverno, sia davanti al caminetto sia uscendo di casa sotto la neve. Cosa succede allora quando si interviene sull’omeostasi? Prendiamo il caso di un culturista che assuma testosterone, un ormone con effetto mascolinizzante, usato in certi ambienti per aumentare la massa muscolare. Tra le conseguenze principali derivanti dalla sua assunzione ci sono l’atrofia dei testicoli e i danni (talvolta persino tumori) a carico di alcuni organi interni come fegato e reni. Dato che questo ormone è normalmente prodotto dai testicoli, e che l’organismo tende al mantenimento di un equilibrio, assumendolo dall’esterno sarà inibita la produzione interna fino all’estrema conseguenza dell’atrofizzazione dei testicoli. Il danno agli organi interni deriva invece dal fatto che il testosterone ha tra i suoi effetti quello di portare l’energia ( e quindi la circolazione, il metabolismo ecc.) verso la parte strutturale del sistema in particolare sull’apparato muscolo-scheletrico, a discapito della sua parte viscerale ( cioè degli organi interni). In questo modo l’equilibrio specifico dell’individuo si spezza.
Sul versante opposto prendiamo ad esempio chi utilizza sostanze che hanno l’effetto di portare più in contatto con l’interno del corpo e con gli organi, e quindi di approfondire le sensazioni di benessere, le emozioni, il rilassamento e la sensibilità, quali l’ecstasy o la marijuana. Queste sostanze agiscono impedendo il riassorbimento della serotonina mantenendola in circolo. Forzando il meccanismo attraverso sostanze introdotte dall’esterno è risultato da molti studi che avviene un’impermeabilizzazione delle membrane delle cellule nervose nei confronti della serotonina , quindi una ridotta sensibilità ai suoi gradevoli effetti. Alla liberazione emotiva ottenuta sotto l’effetto di tali sostanze, o di altre dello stesso genere, segue perciò, dopo un certo tempo, una difficoltà crescente a ottenere lo stesso tipo di benessere in modo spontaneo.
Questo è il prezzo che l’organismo paga ogni volta che tentiamo di spostarlo dal suo equilibrio naturale , il primo effetto della forzatura è una reazione uguale e contraria a salvaguardia dell’omeostasi (anche attraverso le compensazioni), con un possibile danno ulteriore legato allo spostamento del cursore verso una “specializzazione” solo muscoli e “niente” organi o , all’opposto, tante emozioni e poca struttura. Ora, sappiamo che i meccanismi fisici e psicologici di un essere umano non funzionano mai separatamente, ma sono regolati internamente da un'unica forma di gestione del sistema globale. Quindi ogni volta che si vanno ad influenzare parametri fisici come forza e debolezza, giovinezza e vecchiaia, in realtà si provoca un’interferenza anche su tendenze psicologiche. Se ad esempio si curasse un’anemia con dosi adeguate di ferro, senza tenere conto di quanto il sintomo rifletta coerentemente anche sul piano fisico un bisogno psicologico di minor energia ( funzionale per qualche motivo a un dato momento della vita), è probabile che, una volta “risolto” questo problema sul piano fisico, lo stesso bisogno psicologico si ripresenti sotto altra forma, come una storta a una caviglia, un’allergia, un esaurimento. Perché l’ecosistema umano, oltre a non essere pazzo, non è disposto a cambiare i suoi piani se non ha dei validi motivi (consapevolezza).

Se questo detto fin qui è vero per gli ormoni e per tutte le sostanze prodotte dall’organismo, è lecito supporre che la stessa cosa avvenga anche per le vitamine e per i minerali. Con qualche differenza, visto che , assumendone più del necessario, ciò che si inibisce è piuttosto la capacità di assorbirle. Insomma prima di curare un sintomo può essere vantaggioso comprendere il messaggio che porta con sé con le dovute eccezioni naturalmente. Ciò che conta è l’atteggiamento di chi riconosce la malattia una sua motivazione, una logica, un’intelligenza, una dignità e una dignità anche su piani che sfuggono l’evidenza. Il sintomo non è che una zona d’ombra da indagare, come un aspetto di sé che non si riesce a vivere e a concretizzare. In questo senso prendere coscienza degli aspetti di sé sui quali il sintomo chiede di portare l’attenzione porta a completarsi, quindi a guarire, perché guarire significa semplicemente osservare, comprendere e onorare quello che succede, invece che interromperlo o modificarlo. Una volta ritrovato ciò che manca nella propria vita, in genere il sintomo non ha più ragione di essere. Ogni problema fisico, dalle tensioni nella zona cervico-lombo-sacrale all’acne, e ogni malattia, dall’infarto al cancro può essere letto come l’espressione dell’area di conflitto tra ciò che una persona pensa di essere e ciò che in realtà è.
Qualsiasi disagio, da un certo punto di vista, può essere considerato come un’informazione che l’immagine de sé non corrisponde alla realtà.  Se a volte il collegamento è lineare, per esempio; lo spaccalegna non considera il suo mal di schiena come una malattia, lo mette in conto rientra perfettamente nell’immagine che ha di sé come lavoratore indefesso, altre volte può essere difficile stabilire un nesso, come tra il diabete e voler sostenere un’immagine di sé più generosa della realtà. 
 Insomma sostenere la maschera di ciò che si vorrebbe essere, comprare una faccia che non si ha, a lungo andare può riflettersi in una malattia. Fino a quando siamo disposti a pagare il prezzo imposto dai nostri ideali viviamo in salute. Ma quando  più o meno inconsciamente ci rifiutiamo di vivere un’identità che non ci corrisponde più, ecco che la nostra organizzazione in qualche modo crolla. Per ricostruirla , può essere necessario aprirci a un’immagine maggiormente reale di noi stessi.

Per chi vuole approfondire il tema vi consiglio :

 Michel Odoul  Dimmi Dove ti fa Male e ti Dirò Perché -






BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
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TEL.  :  338-8809519 
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 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013" 

lunedì 21 settembre 2015

INVIDIA alleata o nemica?

Tutti noi nella vita prima o poi abbiamo provato l'emozione dell'invidia.

Etimologicamente invidia viene dal latino in –videre, ovvero guardare di malocchio. Oggetto di tale sguardo è ciò che l’altro ha e che si vorrebbe avere ed è sostenuta dal seguente pensiero implicito:

• Perché lui/lei si ed io no?

Questo sentire emotivo nasce nel li e allora quando vivevamo in tribù, in gruppi e la vita in tal modo era necessaria in quanto il rimanere isolati significava, molto spesso, morire.
Il gruppo condivideva ciò che aveva. Quando uno o più elementi del gruppo possedeva qualcosa che non metteva a disposizione anche degli altri in questi ultimi si generava un senso di insofferenza con conseguente percezione di ingiustizia . Se la giustizia tardava e non c'era un equa distribuzione dei beni il malcontento da parte del gruppo, depauperato dei beni o servizi, faceva emergere il desiderio di possedere ciò che pochi tenevano solo per sé, guardandoli così di malocchio ( in –videre ).

Oggi  vivere questo tipo di emozione, come potete immaginare , è molto frequente. Sapere che l'80% della ricchezza mondiale è nelle mani solo del 20% della popolazione mondiale può far emergere in noi l'emozione di cui sopra descritta.

Provare, vivere questa emozione è lecita ma farsi vivere da essa diviene invalidante per chi la prova.


Quando un’emozione viene vissuta in modo esasperante rende la persona dominata dall'emozione stessa. Così la libertà di scegliere quale comportamento agire nell’ambiente di vita diminuisce sempre più, portando l'individuo a reiterare il sentire emotivo con conseguente comportamento associato divenendo così automatico / inconsapevole .
La persona pervasa dall'invidia svilupperà emozioni quale:  il  rancore e la rabbia e metterà in atto comportamenti quale la delazione (Denuncia, accusa segreta),  il pettegolezzo e  la maldicenza. Eloquente a tal proposito la frase di Esopo: “La volpe che non riesce a raggiungere l’uva perché troppo alta per lei, dirà che l’uva è cattiva”.

Spesso la persona che prova  l’emozione dell’invidia, in alcuni momenti e contesti, per mascherare tale emozione la copre con un altra emozione quella della  vergogna. Questo perché da bambino nel proprio processo di crescita uno dei messaggi impliciti presenti nei gruppi sociali,   è che l’invidia è un’ emozione negativa e come tale è meglio non sentirla e non provarla.
Invece è importante accogliere tutto ciò che sentiamo/proviamo senza per questo necessariamente trasformarlo in un comportamento in un agito, ma creando dentro di me uno spazio di ascolto dove nel provare l'emozione dell'invidia la "interrogo" per comprendere quale reale bisogno il mio corpo o la mia persona vuole  soddisfare grazie al segnale inviato da quest’ emozione.


E così nell'allearmi con tale emozione, osservandola e ascoltandola posso comprendere, di desiderare di essere maggiormente realizzato nel lavoro o nella vita affettiva e posso iniziare a mobilitare le mie energie in modo costruttivo per raggiungere l’obiettivo per me necessario.



Per chi vuole approfondire il tema vi consiglio :

• U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, 2003, Milano.




BUONA VITA

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martedì 18 agosto 2015

Insoffisfatto e grato ...cosa semino?


 In una società dove tutto è potenzialmente a portata di mano ma poco è concretamente raggiungibile per la maggioranza delle persone, l’insoddisfazione trova un terreno fertile dove poter proliferare mietendo vittime in ogni dove. Lo scontento ci corrode dentro, l’insoddisfazione è il rumore di sottofondo che accompagna le nostre giornate. Non riconosciamo il valore di ciò che facciamo, così come di ciò che abbiamo. La gratitudine è un sentimento che non ci appartiene. È come se avessimo perso la capacità di metter a fuoco ciò che ci piace veramente, perché con la mente siamo proiettati sempre da un’altra parte, negandoci il piacere di vivere in quel determinato momento.
Le più frequenti forme di insoddisfazione sono legate ad alcuni bisogni fondamentali dell’essere umano come quello di appartenere e di sentirsi amati oppure sentirsi realizzati professionalmente, o ancora,  sentire il senso profondo della propria esistenza.
Spesso, tra le cause della nostra insoddisfazione possiamo rintracciare dei modelli educativi inadeguati. Probabilmente, dietro l’insoddisfazione perenne potrebbe anche esserci una ferita che ci riporta ai nostri primi anni di vita. L’infanzia infatti è un periodo fondamentale per il nostro sviluppo nel quale si determina una parte importante del nostro destino. Per esempio: se da bambini non siamo considerati per quello che siamo realmente, se mamma e papà ci riempiono di costanti critiche su come facciamo certe cose o su come ci comportiamo, per forza di cose svilupperemo una parte di noi ipercritica che si porrà come ideale un modello di sé troppo perfetto. Questo ci porterà a non essere mai completamente  soddisfatti aprendo un divario dentro di noi, tra la nostra parte emotiva e quella razionale, con la conseguenza di un doloroso conflitto.
L’insoddisfazione cronica può evolvere in disturbi corporei come  gastriti, ulcere, attacchi di panico perché i sintomi somatici  spesso rappresentano una soluzione di compromesso nei conflitti psichici.
Per contrastare l'insoddisfazione trovo interessante e di sostegno un principio cardine della religione buddista : niente esiste di per sé, ma tutte le cose sono intrinsecamente correlate e si influenzano. Ogni cosa come ognuno di noi esiste, così come è oggi, grazie all’aiuto e al sostegno di moltissime persone ed eventi. In pratica anche la cosa che a prima vista sembra scontata, come per esempio un tramonto, un treno da prendere, un sorriso non è per nulla scontato ma fa parte di una trama sottile che ci lega tutti.
Ognuno, senza eccezioni, appartiene a questa rete di sostegno reciproco, di cui ciascuno beneficia nella misura esatta in cui contribuisce a renderlo più ricco e armonioso. C’è un film molto interessante che rende bene questa idea. Si tratta di Babel (2006) in cui persone distanti tra loro migliaia di chilometri incrociano per qualche ora i loro destini sulla terra. Vi consiglio di vederlo. 
Babel è un film del 2006 diretto da Alejandro Gonzalez Innaritu, interpretato da Brad Pitt, CateBlanchet.  Con questo film si chiude la cosiddetta - Trilogia sulla morte - che include anche i film Amores perros e 21 grammi. Il film ha vinto il  Premio alla miglior regia al Festival di Cannes 2006.
Quattro realtà diverse e apparentemente distanti tra loro (una famiglia marocchina, una statunitense, una badante messicana e padre e figlia giapponesi), si troveranno unite nel filo dell'esistenza.






Questo concetto mi evoca gratitudine. La persona in grado di vivere la gratitudine apprezza ogni giorno che vive, e che sente come un regalo e non come un peso, comprende che la sua vita viene resa possibile e semplificata grazie agli sforzi degli altri. Anche quando accade qualche evento avverso trova ragioni e valori in grado di giustificarlo. Prova di frequente un senso di meraviglia e di stupore per ogni cosa che non dà mai per scontata. Svariate filosofie e religioni orientali e non sottolineano l’importanza di coltivare quotidianamente la nostra gratitudine. Per esprimere gratitudine però, non basta semplicemente dire “Grazie!”. Quanti Grazie diciamo in maniera formale o spesso, senza neanche accorgercene, durante la giornata ?  La gratitudine è stata spesso chiamato il “fattore dimenticato” nella ricerca della felicità. 
Praticare la gratitudine significa assumere in modo costante un atteggiamento di “felicità ingiustificata“. Vi è mai capitato di essere felice per eventi o situazioni apparentemente usuali, banali? Di apprezzare per esempio il sole che sorge, il profumo di un fiore, il suono di una melodia o semplicemente la vostra salute?
La verità è che la gratitudine ci ricorda che possiamo essere felici adesso! Ora! E allora sentiamo che la nostra vita si amplia, si espande come quando facciamo un ampio respiro, in cui tutto fluisce, in cui siamo collegati alla nostra vera essenza, alla nostra anima. Attraverso la gratitudine diventiamo tutt’uno con ciò che ci è dato. Come se ci dicessimo “Questo è il momento che ho sempre aspettato. È ciò per cui vale la pena essere qui, ora!”. Sentiamo ogni cellula del nostro essere dire “Grazie!”. E il cuore si scalda, lo percepiamo proprio. Insomma focalizzare la nostra attenzione su ciò che abbiamo, su ciò che ci circonda e che questo non è scontato, il sentimento è solo l’aspetto più visibile della gratitudine. Essa è prima di tutto un’operazione della mente: consiste nel riconoscere in ogni momento il valore di ciò che la vita ci offre. Ciò che prima non aveva valore adesso ce l’ha e questo provoca la liberazione delle emozioni, queste sono generate solo se l'occhio della mente si focalizza, ponendo attenzione e intensità su ciò che di bello ci circonda. Se riconosciamo il valore di ciò che abbiamo, ci sentiamo ricchi, soddisfatti e fortunati.



BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
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sabato 30 maggio 2015

Profezie autoavveranti



Ciao a tutti! Oggi tratteremo un tema molto importante: il ciclo del successo (o dell’insuccesso)! Tale ciclo risulta essere un modello, il cui intento è quello di descrivere i passaggi che conducono ad un determinato risultato! Il presente modello è composto essenzialmente da quattro tasselli, interconnessi tra di loro: convinzione/atteggiamento, potenziale, azioni, risultati. Esaminiamo ciascuna di queste aree, e vediamo il modo in cui è interconnessa alle altre.

  1. Atteggiamento/convinzioni:  Ciascuno di noi, nel corso della sua esistenza, elabora una serie di idee relative a se stesso, agli altri e all’ambiente che lo circonda. Possiamo denominare tali idee opinioni, e risultano essere il modo in cui la nostra soggettività giudica noi e l’ambiente circostante. Se a tali opinioni conferiamo una forte carica emotiva, si trasformano in convinzioni/credenze. In questo modo, quelli che erano dei giudizi, si trasformano in dei filtri, con lo scopo di cogliere quegli elementi della realtà che rafforzano le convinzioni stesse. A meno che notiamo che sono filtri e li vediamo in quanto tali: il problema è che spesso portiamo lenti colorate senza neanche accorgercene! Ci nutriamo dunque delle “nostre” stesse convinzioni, e tendiamo a rafforzarle.                                                                            Il nostre è messo tra virgolette dal momento che spesso ricaviamo inconsciamente le convinzioni dall’ambiente circostante, e dunque riempiamo la nostra “mappa del mondo” di tasselli che non sentiamo pienamente nostri. Dalle convinzioni nasce un determinato atteggiamento, nei confronti di un compito a cui assolviamo. Se ad esempio penso “In italiano sono un asso”, o se penso “In italiano sono una schiappa”, il mio atteggiamento nei confronti dell’azione “compiti di italiano” sarà completamente diverso, in quanto influenzato dalle mie credenze. Nel primo caso, potrei comportarmi come il “bomber della grammatica” e avventurarmi tra i compiti . Nel secondo caso sarei invece riluttante alla sola idea di fare i compiti.
  2. Potenziale: Sulla base delle convinzioni che assumiamo, si sprigionano in noi potenziali del tutto diversi. Se siamo orientati a credere nelle nostre capacità, ci sentiremo a nostro agio e saremo pronti ad affrontare la sfida con la reale capacità di superarla e di trarne insegnamento. Se siamo orientati a credere che valiamo poco, le nostre risorse inconsce non emergono e rimaniamo ancorati alla nostra credenza limitante: sviluppiamo delle capacità affini alle nostre credenze.
  3. Azioni: Mediante il potenziale derivante dalle nostre credenze, mettiamo in atto delle specifiche azioni (es. fare i compiti, giocare a calcio, cucinare,  etc. etc.)
  4. Risultato: Dalle azioni intraprese derivano dei risultati, che possono essere affini o meno al nostro intento iniziale.
Che cosa è importante notare in tutto questo? I quattro elementi citati vanno ad interagire tra di loro per creare una spirale di successi o di mancati successi. Uno dei metodi più funzionali corrisponde a quello di intervenire sul proprio senso di identità e sulle proprie credenze. Come dice Stephen Covey, le dinamiche personali ed interpersonali si basano sul principio Inside-Out: per cambiare quello che sta fuori di noi (risultati), dobbiamo prima cambiare quello che sta dentro (credenze). Investire su noi stessi è il più grande investimento che possiamo mettere in atto.

BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
operatore shiatsu, massaggiatore olistico, operatore Wassage.

conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
TEL.  :  338-8809519 
professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013.
 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013"