martedì 29 settembre 2015

Il corpo ? Il nostro saggio amico

Sono  migliaia gli attacchi che ogni giorno  deve far fronte il corpo: che sia per l’aria inquinata che respiriamo, per il cibo “morto” o spazzatura che mangiamo, per le emozioni nocive di cui (altrettanto) ci  cibiamo … .  Insomma, senza che ce ne rendiamo conto il nostro corpo lavora senza sosta supportato da una sua saggezza profonda.
Si proprio così avete letto  bene, una saggezza tutta sua. Il corpo è  dotato di un’intelligenza che spesso però viene sottovalutata o, peggio, non considerata. Eppure è proprio il nostro corpo che, facendo spesso i salti acrobatici, cerca in ogni istante un equilibrio, una compensazione, per far in modo che la vita continui. Senza queste compensazioni, saremmo tutti malati. Ma tutto e tutti in un eccesso lavorativo si stancano e possono crollare esausti sotto il peso del lavoro (compensazioni). Cosi invece di comprendere, siamo soliti eliminare il sintomo più che capirne la causa. Ma noi facciamo molto di più andiamo oltre fino a ribaltare il concetto di saggezza del corpo arrivando così a pensare che in realtà il “manovratore” ( ovvero quel qualcosa che coordina tutto ciò che accade nel nostro organismo ) sia pazzo e che per questo vada tenuto a bada, controllato, ricondotto sulla retta via con antinfiammatori,antibiotici, vitamine, integratori alimentari, interventi chirurgici, ecc… per evitare che la sua natura illogica e pazza ci porti verso l’autodistruzione. Non ritengo di essere un naturologo  fondamentalista estremista per cui nei casi acuti ben vengono questi protocolli di cura, voglio solo sottolineare che il concetto che il “manovratore sia pazzo” ormai pervade e sottende buona parte della medicina e della psicoterapia figlie del nostro secolo. Da qui la nozione che una dose di buon senso somministrata dall’esterno possa “rimettere in carreggiata” il nostro organismo (in campo medico) e il nostro inconscio ( in campo psicoterapico) .
Come avviene in ogni altro ecosistema, credo che sia verosimile pensare che anche l’organismo si regga su una forma intrinseca di autogestione, capace di coordinare tutti i suoi bisogni fisiologici e psicologici animata da una sana organizzazione che vuole solo il meglio. la gestione quindi non è pazza ma solo nascosta, come il sistema operativo di un computer capace di gestire una quantità di informazioni molto maggiori di quelle che vediamo sullo schermo e inconscia, come è necessario che sia per riuscire a gestire un enorme quantità di informazioni che le derivano dall’esperienza, dalle sensazioni, dalle percezioni e probabilmente anche da una serie di dimensioni a noi sconosciute. Con questi presupposti, il criterio con cui ci poniamo di fronte a qualsiasi problema fisico o psicologico non può che essere ribaltato. Perché a questo punto lo scopo non è più quello di sostituirci a tale gestione interna con la presunzione di saperne di più, ma quello di collaborare con essa fornendole le informazioni che possono esserle di aiuto per decidere al meglio.
Proprio per questo che oggi in vari campi molti studiosi forniscono una diversa valutazione di ciò che l’organismo produce spontaneamente, vedendo nel sintomo un tentativo dell’organismo di riorganizzarsi in maniera più sana.
In campo psichiatrico i deliri dei “malati” sono considerati privi di senso , allo stesso modo sono considerati i discorsi dei malati di Alzheimer. Un tempo, della stessa considerazione godevano  anche i sogni delle persone “normali”e i disegni dei bambini, ma oggi grazie a Freud alla psicoanalisi e a tutte le sue svariate diramazioni, sono ampiamente riconosciuti e utilizzati come strumenti di crescita personale, sia per i loro messaggi simbolici sia in quanto forme d’arte spontanea e si cominciano a prendere sul serio le allucinazioni dei malati di mente, come atti onirici in stato di veglia.
Per i  malati di Alzheimer esiste oggi la Validation Therapy che rivaluta la funzione e il senso di ciò che essi producono, dicono e fanno.
È lecito comprendere il sintomo ed interpretarlo come forma di compensazione che l’organismo mette in atto in risposta ad un’alterazione organica di origine fisica o psichica?
Dall’esperienza clinica di numerosi professionisti, è emerso che proprio le persone che sviluppano una malattia invalidante come la sclerosi multipla sono paradossalmente, quelle che in un periodo antecedente , si sono fatte a lungo carico degli altri (-compensazione-per compensazione in questo contesto intendo quel concetto paradossale in cui nell’organismo emerge una malattia generata dal conflitto inconscio tra i suoi agiti e i suoi reali bisogni). Così come andando ad esaminare la storia passata di persone affette da sindrome di affaticamento cronico, si risconta una vera e propria iperattività, una vita piena di impegni professionali o umani (compensazione). Osservando questi collegamenti appare verosimile che la malattia risponda ad un preciso disegno, o meglio, a un principio di autoregolazione (compensazione) che da un lato , a livello macroscopico va a compensare  la struttura psicologica dell’individuo e dall’altro a livello microscopico può riflettersi sulle reazioni biochimiche e organiche. Il tutto regolato da un  principio e cioè di non interrompere l’equilibrio. L’organismo umano, infatti, tende naturalmente al mantenimento di una condizione di stabilità (che la scienza chiama  << omeostasi >> , ma potrebbe essere definito meglio come   << omeodinamica >>  per chiarire il nesso tra il continuo lavoro di adattamento  e la stabilità che tale lavoro serve a mantenere). È grazie a questo meccanismo che abbiamo 37 gradi di temperatura sia in estate sia in inverno, sia davanti al caminetto sia uscendo di casa sotto la neve. Cosa succede allora quando si interviene sull’omeostasi? Prendiamo il caso di un culturista che assuma testosterone, un ormone con effetto mascolinizzante, usato in certi ambienti per aumentare la massa muscolare. Tra le conseguenze principali derivanti dalla sua assunzione ci sono l’atrofia dei testicoli e i danni (talvolta persino tumori) a carico di alcuni organi interni come fegato e reni. Dato che questo ormone è normalmente prodotto dai testicoli, e che l’organismo tende al mantenimento di un equilibrio, assumendolo dall’esterno sarà inibita la produzione interna fino all’estrema conseguenza dell’atrofizzazione dei testicoli. Il danno agli organi interni deriva invece dal fatto che il testosterone ha tra i suoi effetti quello di portare l’energia ( e quindi la circolazione, il metabolismo ecc.) verso la parte strutturale del sistema in particolare sull’apparato muscolo-scheletrico, a discapito della sua parte viscerale ( cioè degli organi interni). In questo modo l’equilibrio specifico dell’individuo si spezza.
Sul versante opposto prendiamo ad esempio chi utilizza sostanze che hanno l’effetto di portare più in contatto con l’interno del corpo e con gli organi, e quindi di approfondire le sensazioni di benessere, le emozioni, il rilassamento e la sensibilità, quali l’ecstasy o la marijuana. Queste sostanze agiscono impedendo il riassorbimento della serotonina mantenendola in circolo. Forzando il meccanismo attraverso sostanze introdotte dall’esterno è risultato da molti studi che avviene un’impermeabilizzazione delle membrane delle cellule nervose nei confronti della serotonina , quindi una ridotta sensibilità ai suoi gradevoli effetti. Alla liberazione emotiva ottenuta sotto l’effetto di tali sostanze, o di altre dello stesso genere, segue perciò, dopo un certo tempo, una difficoltà crescente a ottenere lo stesso tipo di benessere in modo spontaneo.
Questo è il prezzo che l’organismo paga ogni volta che tentiamo di spostarlo dal suo equilibrio naturale , il primo effetto della forzatura è una reazione uguale e contraria a salvaguardia dell’omeostasi (anche attraverso le compensazioni), con un possibile danno ulteriore legato allo spostamento del cursore verso una “specializzazione” solo muscoli e “niente” organi o , all’opposto, tante emozioni e poca struttura. Ora, sappiamo che i meccanismi fisici e psicologici di un essere umano non funzionano mai separatamente, ma sono regolati internamente da un'unica forma di gestione del sistema globale. Quindi ogni volta che si vanno ad influenzare parametri fisici come forza e debolezza, giovinezza e vecchiaia, in realtà si provoca un’interferenza anche su tendenze psicologiche. Se ad esempio si curasse un’anemia con dosi adeguate di ferro, senza tenere conto di quanto il sintomo rifletta coerentemente anche sul piano fisico un bisogno psicologico di minor energia ( funzionale per qualche motivo a un dato momento della vita), è probabile che, una volta “risolto” questo problema sul piano fisico, lo stesso bisogno psicologico si ripresenti sotto altra forma, come una storta a una caviglia, un’allergia, un esaurimento. Perché l’ecosistema umano, oltre a non essere pazzo, non è disposto a cambiare i suoi piani se non ha dei validi motivi (consapevolezza).

Se questo detto fin qui è vero per gli ormoni e per tutte le sostanze prodotte dall’organismo, è lecito supporre che la stessa cosa avvenga anche per le vitamine e per i minerali. Con qualche differenza, visto che , assumendone più del necessario, ciò che si inibisce è piuttosto la capacità di assorbirle. Insomma prima di curare un sintomo può essere vantaggioso comprendere il messaggio che porta con sé con le dovute eccezioni naturalmente. Ciò che conta è l’atteggiamento di chi riconosce la malattia una sua motivazione, una logica, un’intelligenza, una dignità e una dignità anche su piani che sfuggono l’evidenza. Il sintomo non è che una zona d’ombra da indagare, come un aspetto di sé che non si riesce a vivere e a concretizzare. In questo senso prendere coscienza degli aspetti di sé sui quali il sintomo chiede di portare l’attenzione porta a completarsi, quindi a guarire, perché guarire significa semplicemente osservare, comprendere e onorare quello che succede, invece che interromperlo o modificarlo. Una volta ritrovato ciò che manca nella propria vita, in genere il sintomo non ha più ragione di essere. Ogni problema fisico, dalle tensioni nella zona cervico-lombo-sacrale all’acne, e ogni malattia, dall’infarto al cancro può essere letto come l’espressione dell’area di conflitto tra ciò che una persona pensa di essere e ciò che in realtà è.
Qualsiasi disagio, da un certo punto di vista, può essere considerato come un’informazione che l’immagine de sé non corrisponde alla realtà.  Se a volte il collegamento è lineare, per esempio; lo spaccalegna non considera il suo mal di schiena come una malattia, lo mette in conto rientra perfettamente nell’immagine che ha di sé come lavoratore indefesso, altre volte può essere difficile stabilire un nesso, come tra il diabete e voler sostenere un’immagine di sé più generosa della realtà. 
 Insomma sostenere la maschera di ciò che si vorrebbe essere, comprare una faccia che non si ha, a lungo andare può riflettersi in una malattia. Fino a quando siamo disposti a pagare il prezzo imposto dai nostri ideali viviamo in salute. Ma quando  più o meno inconsciamente ci rifiutiamo di vivere un’identità che non ci corrisponde più, ecco che la nostra organizzazione in qualche modo crolla. Per ricostruirla , può essere necessario aprirci a un’immagine maggiormente reale di noi stessi.

Per chi vuole approfondire il tema vi consiglio :

 Michel Odoul  Dimmi Dove ti fa Male e ti Dirò Perché -






BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
operatore shiatsu, massaggiatore olistico, operatore Wassage.

conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
TEL.  :  338-8809519 
professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013.
 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013" 

lunedì 21 settembre 2015

INVIDIA alleata o nemica?

Tutti noi nella vita prima o poi abbiamo provato l'emozione dell'invidia.

Etimologicamente invidia viene dal latino in –videre, ovvero guardare di malocchio. Oggetto di tale sguardo è ciò che l’altro ha e che si vorrebbe avere ed è sostenuta dal seguente pensiero implicito:

• Perché lui/lei si ed io no?

Questo sentire emotivo nasce nel li e allora quando vivevamo in tribù, in gruppi e la vita in tal modo era necessaria in quanto il rimanere isolati significava, molto spesso, morire.
Il gruppo condivideva ciò che aveva. Quando uno o più elementi del gruppo possedeva qualcosa che non metteva a disposizione anche degli altri in questi ultimi si generava un senso di insofferenza con conseguente percezione di ingiustizia . Se la giustizia tardava e non c'era un equa distribuzione dei beni il malcontento da parte del gruppo, depauperato dei beni o servizi, faceva emergere il desiderio di possedere ciò che pochi tenevano solo per sé, guardandoli così di malocchio ( in –videre ).

Oggi  vivere questo tipo di emozione, come potete immaginare , è molto frequente. Sapere che l'80% della ricchezza mondiale è nelle mani solo del 20% della popolazione mondiale può far emergere in noi l'emozione di cui sopra descritta.

Provare, vivere questa emozione è lecita ma farsi vivere da essa diviene invalidante per chi la prova.


Quando un’emozione viene vissuta in modo esasperante rende la persona dominata dall'emozione stessa. Così la libertà di scegliere quale comportamento agire nell’ambiente di vita diminuisce sempre più, portando l'individuo a reiterare il sentire emotivo con conseguente comportamento associato divenendo così automatico / inconsapevole .
La persona pervasa dall'invidia svilupperà emozioni quale:  il  rancore e la rabbia e metterà in atto comportamenti quale la delazione (Denuncia, accusa segreta),  il pettegolezzo e  la maldicenza. Eloquente a tal proposito la frase di Esopo: “La volpe che non riesce a raggiungere l’uva perché troppo alta per lei, dirà che l’uva è cattiva”.

Spesso la persona che prova  l’emozione dell’invidia, in alcuni momenti e contesti, per mascherare tale emozione la copre con un altra emozione quella della  vergogna. Questo perché da bambino nel proprio processo di crescita uno dei messaggi impliciti presenti nei gruppi sociali,   è che l’invidia è un’ emozione negativa e come tale è meglio non sentirla e non provarla.
Invece è importante accogliere tutto ciò che sentiamo/proviamo senza per questo necessariamente trasformarlo in un comportamento in un agito, ma creando dentro di me uno spazio di ascolto dove nel provare l'emozione dell'invidia la "interrogo" per comprendere quale reale bisogno il mio corpo o la mia persona vuole  soddisfare grazie al segnale inviato da quest’ emozione.


E così nell'allearmi con tale emozione, osservandola e ascoltandola posso comprendere, di desiderare di essere maggiormente realizzato nel lavoro o nella vita affettiva e posso iniziare a mobilitare le mie energie in modo costruttivo per raggiungere l’obiettivo per me necessario.



Per chi vuole approfondire il tema vi consiglio :

• U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, 2003, Milano.




BUONA VITA

Vincenzo D’Angelo: Counselor ad approccio sistemico integrato 
all’armonia posturoemozionale funzionale, Life-Mental Coach, Naturologo , 
operatore shiatsu, massaggiatore olistico, operatore Wassage.

conduttore di gruppi di E-Motion e Yoga della Risata 
TEL.  :  338-8809519 
professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013.
 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU n. 22 del 26/01/2013"